venerdì 10 febbraio 2012

Fare il coach? Lo scelgono sei donne su dieci


Se spesso, ai piani alti, le donne non riescono ad entrare dalla porta, in compenso, dalla finestra, sembra proprio di sì. La fotografia italiana del coaching, scattata da PricewaterhouseCoopers, che ha fatto in collaborazione con Icf global una ricerca internazionale tra 12mila professionisti in 117 paesi, dice infatti che a rivolgersi ai coach sono soprattutto manager e quadri uomini, a conferma del fatto che la carriera è soprattutto maschile. Ma a fare il coach sono soprattutto donne: è così quasi nel 60% dei casi. Sembra un paradosso, ma in realtà il fatto che il consigliere del principe sia soprattutto donna si deve al fatto che «la donna reintroduce il valore delle risorse umane, intese come patrimonio reale dell'azienda, quindi le persone viste non come voci di bilancio ma come potenzialità a sostegno dell'azienda», spiega Fabrizia Ingenito che è presidente di Icf (International coach federation) Italia.
Non è un caso dunque che nelle aree più richieste dai clienti al primo posto ci sono le relazioni interpersonali con il 40,7 per cento. Al secondo la crescita personale con il 38,4 per cento. Al terzo difficoltà legate all'autostima e alla fiducia in sé. Sul podio delle aree più richieste dai clienti dei coach, che in Italia continuano la loro corsa, per numero e per volume di affari generato, ci sono soprattutto temi mirati a rendere più funzionale alla produttività il rapporto con gli altri e legati al miglioramento della propria performance. Andando a vedere chi sono i clienti dei coach si ha la conferma dei percorsi di carriera, in gran parte al maschile, italiani. A rivolgersi ai coach sono infatti soprattutto uomini, quasi il 56%, con un'età compresa tra i 36 e i 45 anni (48%), quindi nel fiore della loro storia professionale, e con un livello di istruzione elevato.
È una professione in crescita quella del coach, sostenuta da una forte richiesta nelle aziende, visto che la domanda italiana è soprattutto corporate: in Italia il 60,7% dei coach ammette che nell'ultimo anno i clienti sono aumentati. Le tariffe nel 65% dei casi sono rimaste invariate, mentre per oltre la metà dei coach il reddito annuo derivante dalla professione è in crescita. E non si tratta di un trend destinato ad avere una battuta d'arresto perché in prospettiva il numero dei clienti continuerà a crescere anche nei prossimi 12 mesi: a dirlo sono il 73,8% dei clienti. E ad aumentare sarà anche il giro d'affari italiano.
Ma l'aspettativa è anche che a crescere debbano essere i requisiti degli associati, «un tema su cui Icf Italia si sta muovendo da tempo», continua Ingenito, e che è molto sentito dai coach associati che nel 55,6% dei casi spiegano che in Italia il maggior ostacolo per lo sviluppo della professione è considerato il persistere sul mercato di coach che si definiscono tali pur in mancanza di qualifica e formazione professionale. Per questo a partire da aprile, «in tutti i chapter locali di Icf global non saranno più ammessi gli associati se non hanno requisiti minimi di training riconosciuti da Icf – dice Ingenito – e cioè 60 ore di training riconosciuto. Questo significa che tutti coloro che si rivolgeranno a coach Icf avranno uno standard molto elevato». Questa nuova policy apre un nuovo capitolo, quello della formazione. «Stiamo richiedendo che tutte le scuole che fanno parte del progetto School community, una decina in Italia, alzino i livelli minimi degli insegnanti e dei percorsi – aggiunge Ingenito –. Il perno principale attorno a cui ruota la nostra strategia è la certificazione, ma più in generale le nostre priorità per il futuro mirano a far sì che noi diventeremo più riconoscibili come coach, ad alzare le competenze anche attraverso il training e al rispetto del codice etico».
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